venerdì 31 ottobre 2008

4, 15 e 72

(ovvero l'effimera interpretazione dei sogni)

Ogni tanto in sogno, ho delle indicazioni precise, che si trasformano spesso in sensazioni. Queste sensazioni poi diventano numeri.
Esempio banale: prendiamo una persona che conosci relativamente, mettiamo il collega che ti siede di fronte e di cui conosci un sacco di tic e manie derivate dalla compagnia forzata per almeno 8 ore al giorno. Metti che di questa persona non conosci nulla, della vita privata, della mondo che lo circonda quando non è in ufficio con le cuffie e la scrivania disordinata. Metti che poi, in sogno, questo collega ti parli e ti indichi come numero da giocare la sua età, ti dice proprio: Quanti anni ho? Quanti anni ho? Cazzo ne so io quanti anni ha!, butto lì la prima sensazione che mi viene in mente, che poi diventa un numero, che poi è 42.
A parte il valore estremamente simbolico di tal numero, quanto può essere affidabile come indicazione? Ha davvero 42 anni il mio collega? Che relazione c'è tra la Vita, l'Universo e tutto quanto con l'età del mio collega? la risposta potrebbe/dovrebbe essere quarantadue.
Ma non mi convince. Quindi scarto tal numero nella rosa dei probabili numeri fortunati da giocare.

Però... mica mi indica solo l'età. Sempre nel sogno mi fa capire che sono le 3 del pomeriggio (che per convenzione diremo Quindici): 15. Questo è un buon numero. E lo metto lì, perfetto. Mancano altri due numeri.
E segue un'altra indicazione: Mi indica, di controllare il credito residuo del mio cellulare. Uhm... di nuovo la sensazione...
Stamattina controllo, e sul display appare il messaggio che ho 4,72 € residuo...
Scomponendo il residuo si ottiene facilmente 4 e 72, che accostato al 15 precedente... direi che la terna si completa praticamente da sola.

E sempre per continuare il discorso sfigato della sensazione, noto che, ma la cosa è completamente irrilevante, che le cifre di 42 sono in 4,72 come estremi... l'intuzione quindi deve essere giusta.

Il famoso terno è composto.

lunedì 27 ottobre 2008

martedì 21 ottobre 2008

Recensione - Vinicio Capossela: Da Solo



Anche qui, esprimere un giudizio sintetico e asettico è molto difficile.
In questo preciso momento, mentre scrivo di Da Solo (l'ultima opera del grande Vinicio) ascolto Ovunque proteggi (penultima opera del grande Vinicio), e si nota la differenza.
Ecco: come si fa ad uscire con un disco come Da Solo che è intimo, introspettivo, sensibile, romantico, musicalmente semplice (ma con arrangiamenti molto complessi e ricercati) quando 3 anni prima c'era un disco in cui succedeva di tutto ma proprio di tutto?

Ecco che Poliedricità si riconferma ancora sinonimo di Vinicio, e stupisce.
Bisogna dire pure che ormai che degli autori nati negli anni 90, Capossela è l'unico che abbia mantenuto il suo livello sempre alto, e che nel reinventarsi l'abbia fatto sempre in maniera costruttiva, interessante, curiosa, innovativa... bella.
Sempre parlando di artisti sorti negli anni 90, delle ultime produzioni ormai mi ero abituato ad accettare per roba buona ciò che è al massimo decente (subsonica, daniele silvestri, max gazzè, samuele bersani)... roba trita e ritrita.
Capossela svetta su sti poveracci in maniera supersonica, li guarda dall'alto con almeno 10 spanne di differenze.

Devo quindi chiedere ringraziare Capossela perché con quest'opera sembra aver lanciato un messaggio molto preciso: La Musica d'Autore Bella Italiana esiste ancora, e non è monopolio di mostri grandi (anche anagraficamente) come Conte e Fossati (a cui seguirà recensione). C'è un posticino pure per lui.

Accattatevelo originale e lasciatevi sedurre dalle tracce numero 2, 5, 7 e 10.

martedì 14 ottobre 2008

sulla ruota di Palermo


Questa è bella, andando a giocare i numeri che mi sono sognato, mi sono sbagliato, e ho giocato 89 al posto di 86, e 56 al posto di 59.

E l'89 e il 35, sulla ruota di Palermo sono usciti.

Bella lì, grazie master di merda.

lunedì 13 ottobre 2008

Recensione - Il papà di Giovanna


(Ovvero Perché Silvio Orlando fa l'attore e non il professore?)

Partiamo dal presupposto che ho immensa stima di Silvio Orlando come attore, e che da il meglio di sé quando intepreta la parte del professore. Come dimenticarlo in parti come Auguri professore, Il portaborse, oppure La scuola? Quella sua fisicità goffa, approssimativa, sormontata da un faccione espressivo e comico è un chiaro marchio di fabbrica.
Partiamo dal presupposto che per scrivere Alba Rohrwacher ho cercato la scheda del film e ho fatto copia&incolla del suo nome e che in Mio fratello è figlio unico mi è piaciuta assai, ma che pure in questo film intepreta una bella parte e che raggiunge esattamente l'intento a cui ci guida il regista: alla simpatia immediata e di conseguenza alla solidarizzazione.
Ok, detto questo, aggiungo solo che Francesca Neri me la sogno la notte, ma non scendo in particolari con voi...

Nessuno qui, tra chi scrive e chi legge, è un esperto di recensioni cinematografiche. Siam tutti appassionati, stiamo lì lì a spaccare il capello in 4 alla ricerca del virtuosismo per descrivere questa o quella scena. Ma non è questo il posto giusto per giudicare un film, quanto piuttosto descriverlo per quello che è: intrattenimento allo stato puro. E l'intrattenimeto piace, o non piace.
A me personalmente il film è piaciuto. Non assai. Non me lo rivedrei dopodomani, ma è stato comunque un film godibilissimo pieno di momenti in cui mi son lasciato coinvolgere dalla storia, nonostante le molte pecche (per chi è interessato dirò quali). Ho persino accettato con un vago senso di ottimismo il finale a cui ci ha portato per mano Pupi Avati, che dopo averla menata, in passato, che Bologna non è più la città di una volta per girare i suoi film ecco propinarcene un altro ambientato in questa città.
E in effetti poi si scopre che a parte qualche esterno in Via San Vitale, la maggior parte delle riprese sono state girate a Cinecittà a Roma e che alcune viste (quelle su Bologna e su Torino) sono frutto del Digitale (falso come una banconota da 14 euro).
Tutto sommato, è un film che non passerà alla storia. Ma ormai ho accettato con rassegnazione il fatto che non ci sono più filmoni italiani, quelli belli per cui vale la pena appassionarsi facendo dei confronti col cinema estero.
E a sto punto parliamo pure un po' del degrado di sto cazzo di cinema italiano che nel cast deve per forza metterci attori come Ezio Greggio, noto sul grande schermo per le sue incredibili interpretazioni in Yuppies e Yuppies 2, Il silenzio dei prosciutti (di cui è anche regista), Anni 90, Occhio Alla Perestrojka; e di quell'altra... come si chiama... Serena Grandi: come non poter citare Saint Tropez Saint Tropez, Monella e qualche altra zozzeria che non ho voglia di rammentare.
Come dare credibilità al Cinema Itagliano?

Beh... non c'è altro da aggiungere, secondo me.

giovedì 9 ottobre 2008

Poi un bel giorno ti accorgi che...



Essere nati poco prima degli anni 80 e aver avuto la propria formazione adolescenziale negli anni 90, vista con gli occhi di chi sa andare oltre le stupide apparenze, sarebbe dovuto essere, scusate il termine, una figata.
A Roma si dice 'Na passeggiata de salute.

Sei cresciuto, oh sì proprio tu, negli anni 90 col mito del mondo in mano, consapevole della rivoluzione tecnologica e culturale in atto tale da poter sfondare con poco, visto che i tempi erano giusti.
Bisognava solo essere creativi, avere l'idea giusta al tempo giusto, e valà... soldi a palate, ricchezza, agio, ragazze a volontà. E tu eri creativo, avevi le idee giuste.
Era il momento in cui avere il diploma o avere la laurea era quasi la stessa cosa per poter emergere. Era il momento in cui una semplice idea del cazzo, poteva diventare un tormentone mondiale.
Sembrava quasi il Klondike di Paperon de Paperoni, alla prima picconata sul punto giusto, venivan fuori delle pepitone da 40 kg d'oro che... mamma mia.

Shawn Fanning: Napster;
David Filo e Jerry Yang: Yahoo;
Sergey Brin e Larry E. Page: Google;
Jimmy Wales e Larry Sanger: Wikipedia;
Niklas Zennström e Janus Friis: Skype (tra l'altro gli stessi che han fatto Kazaa);
Jeffrey Lee Parson: Worm Blaster;
OsteLinus: non pervenuto.

E poi un bel giorno ti accorgi che in realtà sei rimasto indietro, indietrissimo, e che ammesso e non concesso tu abbia avuto delle possibilità per sfondare le hai perse tutte perché non sei mai stato messo in grado di poter effettivamente sfondare.

E poi un bel giorno, seduto in ufficio, scrivi di nascosto dei post sul tuo blog mentre ascolti il video su YouTube (Steve Chen, Chad Hurley e Jawed Karim) di un pischello che c'ha almeno 10 anni meno di te e sa suonare come non saresti mai in grado te, manco se ti ci mettessi per 10 anni di seguito.

E tutto questo non si può ridurre ad invidia, né tantomeno generalizzare a fallimento:
tutto sommato conduci una vita di cui sei soddisfatto e felice.

Si tratta solo di prendere atto che le opportunità migliori se le son prese persone che forse avevano il tuo stesso talento, e magari intorno qualcuno su cui fare maggior affidamento.

Tutto qua.

martedì 7 ottobre 2008

35, 59 e 86

Da buon napoletano, (non) sono supersistioso.
Ma non posso resistere al fascino dell'interpretazione dei sogni. Come già detto, mi capita di sognare dei numeri, ma di non giocarli mai. Perché? La risposta più plausibile tra la vasta gamma di scelta è che sono pigro: Mettessero una ricevitoria adiacente al giardino condominiale dove vivo, giocherei più spesso.
Ed ecco che quindi ho sognato questi tre numeri 35, 59 e 86. Su tutte le ruote.
Sono numeri sicuri, sicurissimi.

Se qualcuno ha intenzione di giocarli, punti pure 1 € sul terno e 2 € sull'ambo. E poi non dite che non vi ho dato la bazza.

IO come al solito mi limiterò a non giocarli, ma a monitorare le estrazioni per tre settimane, per poi stupirmi della mia cassandreria (se escono) o della mia oculatezza (se non escono).

Brutta bestia, l'invidia.

Basta 'na jurnata 'e sole

versione breve

(guarda il video)

versione lunga
Succede di passare una bella giornata di sole in giro per Reggio nell'emilia.
Saremmo potuti rimanere in quel di Bologna/San Lazzaro... ma perché?

E sentir descritta la suddetta città come una città grigia, francamente mi è sembrato eccessivo.
L'ho trovata molto diversa da Bologna, soprattutto per essere 4 volte più piccola (si parla di centro storico) e con la via emilia completamente pedonale: un sogno.

Poi succede l'imprevedibile: facciamo un giro al parco delle caprette, una mia cara vecchia ossessione (un po' come le papere, le pecore e gli scoiattoli): e il mio cuore si lascia affascinare da questo piccolo centro dell'emilia romagna.

Ci ritorneremo? ai posteri l'ardua sentenza.

mercoledì 1 ottobre 2008

C'era una volta l'ispirazione

Siamo ad Ottobre del 2008, e se non ricordo male, 10 anni fa credevo di essere uno scrittore.
Tutto cominciò con una ragazza che mi lasciò, e io, invece di andare in depressione o darmi alle droghe, sentii il bisogno di scrivere un racconto che parlasse di questo.
Poi è successo che il racconto diventò una storia. Dopo circa 6/7 mesi avevo pronto un romanzo di circa 160 pagine.

Tutto avvenne quasi automaticamente: trovavo catartico riversare su tastiera le mie angosce adolescenziali, e divertente, rileggendo, quello che scrivevo.
Però non volevo che il libro fosse su di me, anche se conteneva molto di me. Così cambiai il nome al protagonista, e aggiunsi un paio di dettagli per renderlo più interessante e funzionali alla storia; creai uno sfondo ipotetico e non molto diverso a quello che vivevo all'epoca; dei personaggi minori, una specie di punto di partenza ed uno di arrivo. Dopo circa 6/7 mesi avevo pronto un romanzo di circa 160 pagine.
Tentai anche di mandarlo a qualche casa editrice, ma non ne ho mai trovata una interessata a sponsorizzare la stampa e la distribuzione. Tutti proponevano un finanziamento per la stampa di mettiamo 1000 copie e la distribuzione, e dopo un anno mi sarei dovuto comprare le copie invendute.

Tra i miei amici, vive ancora il ricordo delle gran prese per il culo perché dopo un po' che parlavo con una ragazza infilavo nel discorso la frase Sai, io ho scritto un libro. Poi ci fu anche il giorno in cui incontrai una mia fan, e lì fu la mia rivincita, ma questa è un'altra storia.

Lo scrivere mi piacque al punto tale da diventare quasi un chiodo fisso. Scrivevo tanto, tantissimo, ovunque e di tutto. Racconti lunghi, racconti brevi, poesie, prosa, sonetti, haiku. Scrivevo e cancellavo, scrivevo e conservavo, scrivevo e facevo leggere agli amici fogli stampati su carta riciclata con opzione risparmio.
E a tutti piaceva quello che scrivevo, dicevano che le mie parole davano emozioni, ma non nel senso defilippiano del termine, quanto più quello adolescenziale da sfigati di provincia.
Giravano anche delle copie del romanzo in formato elettronico via posta elettronica dove si narra di gruppi di lettura dal nord a sud, isole comprese.
Nel 2003 rilasciai sul web il libro PDFeffato e a quel punto decisi di dedicarmi ad altro.

Internet era già nell'era dell'ADSL e aprìì un blog, dove parlando di me, cominciai a pubblicare dei raccontini scritti così, tanto per fare.
Ne pubblicai una 40ina, con la cadenza di 2/3 a settimana, e intanto parlavo di me.
E anche lì avevo persone che seguivano, commentavano ed apprezzavano.
Poi decisi di chiudere quel blog e aprirne uno specifico per i miei racconti e basta. E lì il primo periodo mi sono scatenato. Racconti su racconti, scritti su scritti, riflessioni in prosa e quant'altro mi passasse per la mente filtrato dai polpastrelli. Il pubblico era in delirio...
Pubblicai la prima raccolta di racconti nello stesso identico precendete: PDF scaricabile da internet.
Ho provato anche per un periodo a curare una specie di blog/libro in cui ogni post era un capitolo, ma poi mi ero perso in una trama non propriamente definita ed un po' piatta.
Ho continuato quindi a scrivere racconti, e piano piano i miei post si sono fatti sempre più radi, e avolte non li pubblicavo nemmeno perché non piacevano neanche a me che li avevo scritti, fino a scrivere/pubblicare una volta ogni tanto e poi sempre più raramente. Per un periodo non ho proprio avuto un pc per scrivere, e su carta, si sa, son sempre stato molto pigro. In ufficio non avevo la giusta concentrazione, e smisi di scrivere sistematicamente riducendo drasticamente la quantità di byte ricilati sul web.
Fino a notare che ormai l'ispirazione è quasi andata perduta del tutto.
Però scrivere è un lusso che non voglio perdere. Ecco perché, a 10 anni di distanza dal mio sentirmi scrittore, ho aperto un blog dove raccolgo le parole di quando NON so cosa scrivere.